La chiesetta di San Michele ad Arcè e la frase misteriosa
Sator arapo tenet opera rotas
questa la frase abbastanza leggibile graffita sull’arco a sesto acuto del portoncino meridionale della chiesetta. Potrebbe significare qualcosa come: “il coltivatore di un piccolo pezzo di terra con la sua opera mantiene le ruote”, laddove le ruote sono quelle del mulino, che gli serve per procurarsi di che vivere.
E’ una frase palindroma, anzi, può costituire una croce palindromica con al centro la parola “tenet”. In realtà è una iscrizione oggetto di frequenti ritrovamenti archeologici, di cui i più noti sono a Pompei.
Il significato è ancora oscuro, nonostante le ipotesi formulate. C’è chi la considera una formula magica, chi interpreta il “sator” (coltivatore) come il seminatore delle parabole evangeliche; Marco Tullio Cicerone usò il termine sator per definire Giove/Zeus.
Santa Messa prefestiva a San Michele
E’ quasi l’ora della Santa Messa prefestiva. Io sono in compagnia degli amici Carla e Giovanni Zollo, che mi hanno accompagnato fino a qui. Giovanni, con la sua consueta affabilità, chiede informazioni a qualche signora del luogo giunta per la Messa: a tutte mi presenta dicendo che sono arrivata apposta da Milano per ammirare la loro chiesa e ciascuna di loro mi regala sorrisi, gentilezza e calore umano.
Rapidamente la chiesina si riempi di altri fedeli, quanti ne può contenere in considerazione degli spazi e delle regole di distanziamento.
Un sacerdote, forse il Parroco, energico e gioviale celebra la Messa durante la quale mi soffermo ad ascoltare il coro dei fedeli che canta come fosse una sola voce e mi colpisce la loro partecipazione sincera, viva e semplice, qualcosa di insolito per me. Al termine una delle signore con cui avevo fatto già conoscenza recita la preghiera a San Michele Arcangelo, un piccolo gesto dedicato a me.
La chiesa
La costruzione risale alla prima metà XII secolo e costituisce un esempio di romanico veneto, come dimostrano i corsi di ciottoli a spina di pesce (ben visibili in facciata) di cui la muratura è costituita.
Qualche rimaneggiamento è poi seguito. L’interno angusto è ad unica navata con tetto a capanna e vi si accede da un ingresso collocato sul lato settentrionale, mentre il portale di facciata non è accessibile.
Sopra al portoncino del lato sud c’è un altro graffito all’interno (all’esterno la scritta di cui sopra) del tutto incomprensibile, forse riferito a un benefattore.
L’immagine dell’Arcangelo campeggia sopra l’altare, con i consueti simboli della bilancia e della lancia, ma indossa una tunica, non ha fogge militari. Non è questa però la rappresentazione micaelica più interessante: occorre superare un varco che dà accesso all’abside, un minuscolo spazio ricavato a fungere da sacrestia.
Sul muro absidale campeggia l’affresco, o quel che ne rimane visibile. Ci dicono appartenere alla scuola di Giotto.
Michele con la destra regge una lancia, intento – si direbbe – a pungolare alcuni dannati (si intravedono delle gambe all’aria…); con la sinistra sostiene un’anima antropomorfa inginocchiata su di un piatto della bilancia. Analogamente, sull’altro piatto scorgiamo un’anima in preghiera.
E’ una tradizionale raffigurazione della psicostasi, cioè la pesatura delle anime, tipico motivo medievale che fa riferimento al giudizio divino.
In questa immagine Michele svolge anche l’altro “ruolo” a lui assegnato, lo psicopompo, per questo accompagna con la mano l’anima al giudizio finale. Mi colpisce un elemento insolito: la bilancia non è sostenuta da Michele (come siamo più spesso abituati a vedere) ma dalla mano divina, raffigurata in alto a destra.
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